Come avvelenare la relazione con tuo figlio
Un meccanismo per avvelenare la relazione con i nostri figli consiste nell’espropriarli del loro sentire, attribuendo loro stati d’animo che non provano affatto, fino a provocarli.
Capita spesso che un genitore si mette in testa qualcosa rispetto al sentire del figlio e ne cerchi la conferma, ma, poiché “chi cerca trova”, è proprio l’atto di cercarla che finisce con il crearla.
In altri termini, la profezia si autorealizza (Watzlawick, 1988)
Primo esempio
Un adolescente torno a casa stanco da scuola, la madre lo osserva e gli chiede: “Come mai sei così arrabbiato?”
Il figlio risponde di non essere affatto arrabbiato, ma la madre insiste:” Tu sei arrabbiato, si vede chiaramente, non vedo perché nascondermelo”, e per quanto il figlio neghi, la madre non molla:”Sai che a me non sfugge niente”.
Alla fine il figlio, esasperato, urla:” Ti ho detto che non sono arrabbiato, porca miseria!“…
La madre sorride e sentenzia:” Visto? Te l’avevo detto che eri arrabbiato, per me sei come un libro aperto”.
Secondo esempio
Una ragazzina di 15 anni, improvvisamente, si chiude in camera sua, passa ore al computer, spesso piange, si guarda allo specchio e si rifiuta di indossare quasi tutti i vestiti che possiede.
Lei, che era stata sempre un libro aperto per la madre, non si confida più, anzi appare irritata e nervosa.
Può capitare che i genitori inizino, senza rendersene conto, il copione del “chi cerca trova”, ripetendole che c’è qualcosa che non va, che sono molto preoccupati per lei, che quello che sta facendo non è normale.
“Non ti piaci abbastanza”, “Sei troppo insicura”, sono solo alcune delle attribuzioni che i genitori formulano nel tentativo di capire la situazione.
In realtà, tali affermazioni reiterate finiscono per innescare l’effetto profezia, fino a quando la figlia si convince che in lei c’è davvero qualcosa che non va.
Quelle che inizialmente erano semplici reazioni a una difficoltà momentanea, legata alla fase di sviluppo adolescenziale, ridefinite come un problema di insicurezza da parte dei genitori, finiscono con il crearlo.
Cose da NON dire ad un figlio adolescente
“Non puoi stare così male per un po’ di febbre”, “Tu credi di avere sonno”, “A te sembra di essere allegro”, “Tu sei rancoroso con me, ma non te ne rendi conto”.
Sono tutte comunicazioni del tipo “so meglio di te cosa provi”, che possono fare avverare la profezia o, più semplicemente, far uscire dei gangheri chi vi venga sottoposto.
Domandare, non sentenziare !
Il primo passo comunicativo con un adolescente è quello di domandare piuttosto che sentenziare.
Nel nostro esempio, la madre avrebbe potuto domandare semplicemente al figlio:”Mi sembri arrabbiato, vedo giusto?” piuttosto che affermare che lo è.
“Ho l’impressione che tu non sia così allegro come mostri, ma potrei sbagliarmi”, “correggimi se sbaglio, ma temo che tu sia offeso con me per qualche cosa, è una mia paranoia?”
Sono tutti modi per permettere all’altro di rimanere “proprietario” dei propri stati d’animo e decidere se confermare o meno la percezione di chi domanda.
Solitamente, però, di fronte a una domanda così poco intrusiva, molto probabilmente, un figlio decide di dichiarare apertamente il proprio stato d’animo, permettendo così al genitore di comprendere meglio cosa gli stia capitando, senza generare effetti collaterali indesiderati 🙂
Da “Aiutare i genitori ad aiutare i figli – problemi e soluzioni per il ciclo di vita” di Giorgio Nardone e l’equipe del Centro di Terapia Strategica
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